Cosa cambiare nella metodologia dell’allenamento?

A mio parere negli allenatori sopravvive l’idea, tanto diffusa quanto sbagliata, che gli esercizi propedeutici possano soddisfare autonomamente le esigenze di apprendimento necessarie a permettere ai giocatori di disputare una partita.

Riccardo Capanna “Come le Neuroscienze danno una mano a insegnare a giocare con i piedi”

Nel corso della mie esperienze nel mondo del calcio, sia come giocatore, sia come allenatore ed in seguito anche come preparatore atletico, c’è una metodologia che mi ha creato non poche perplessità, ovvero, il grande utilizzo durante gli allenamenti di esercitazioni propedeutiche.
A questa definizione corrispondono una serie di esercizi non specifici, che hanno una bassa correlazione con la prestazione agonistica. Nello specifico si tratta ad esempio di attività che prevedono l’utilizzo di attrezzi, molti dei quali facilitano spesso la comprensione e lo svolgimento dell’esercizio, il miglioramento dei tempi specifici, e la concezione degli spazi limitati.

Il tempo di allenamento dedicato a queste attività, è solitamente la maggior parte di quello disponibile durante la seduta, pur trattandosi di esercitazioni che ritengo essere poco adatte a preparare gli atleti/calciatori alle situazioni che poi si verificano concretamente in campo durante la partita. Per questo motivo è naturale chiedersi, quanto può essere utile preparare un giocatore a mantenere la palla senza direzione, quando in realtà in partita esiste invece una direzione da seguire?
A mio modo di vedere, il tipo di esercitazione propedeutica con più limiti, è quella che prevede un allenamento muscolare con sovraccarichi, al fine di di aumentare la massa muscolare degli arti inferiori. Nella maggior parte dei casi, tutto ciò avviene attraverso una limitazione del numero di ripetizioni, con l’utilizzo di carichi leggeri. È una tipologia di allenamento che non ha nulla di situazionale, e personalmente sarebbe più opportuno prediligere esercizi più specifici ed a carico naturale, in quanto durante una partita, la muscolatura del calciatore sarà sollecitata naturalmente e dunque, più utile a prepararlo alle situazioni che si verificheranno realmente in campo, come ad esempio i cambi di direzione.

Un altro degli svantaggi che deriva dall’utilizzo di questo tipo di esercitazioni, è il fatto che la maggior parte di esse non preveda la contrapposizione di un avversario, o qualora fosse prevista, si tratterebbe di una situazione del tutto fittizia, in cui entrambe le parti sarebbero a conoscenza dello scopo perseguito. Situazione totalmente contraria a quanto avviene realmente sul campo da gioco, situazione in cui il calciatore non ha nessuna informazione su quelle che saranno le mosse eseguite di lì a poco dalla controparte.

Consigli e riflessioni

Le mie riflessioni su quelli che sono i punti deboli di queste particolari esercitazioni, non hanno lo scopo di indicarne l’inutilità o di suggerirne l’abolizione, ma di dare l’opportunità di comprendere dove e come poter migliorare questo metodo di allenamento, e nello specifico di come riuscire a sfruttare al meglio l’utilizzo del tempo a disposizione durante le varie sedute. Le esercitazioni propedeutiche dunque, se da un lato sono utili nella spiegazione di alcuni aspetti tecnico-tattici e nella conseguente facilità di comprensione da parte degli atleti, dall’altro, non devono essere il punto focale dell’intero allenamento, e il tempo dedicato a loro deve essere proporzionato sulla base dell’intera seduta.
A mio modesto parere infatti, il giusto mix di allenamenti comprende oltre alle esercitazioni propedeutiche, soprattutto esercizi di gioco come i possessi palla orientati e finalizzati, che probabilmente risultano più adatti a preparare la squadra sia al gioco comune, sia a quello contro gli avversari.
Il motivo principale è sicuramente quello di essere preparati alle varie situazioni che si verificheranno durante una partita, avendo già provato in allenamento determinate iniziative di gioco. Tutto questo vale anche per la prestazione muscolare, infatti se il muscolo è abituato a sollecitazioni frequenti ed a movimenti a cui verrà sottoposto durante la partita, quest’ultimo sarà di conseguenza più preparato a rispondere positivamente agli stimoli a cui sarà assoggettato nell’arco dei novanta minuti.

Bibliografia:
Come la neuroscienza danno una mano a insegnare a giocare con i piedi, Calzetti e Mariucci editore
R. Capanna.

Credit image: the18.com

Mattia Terenzoni




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